PARLIAMO DI
LE CARATTERISTICHE DEL PRIMO CHAKRA
LE CARATTERISTICHE DEL QUARTO CHAKRA
di Gerry Chirò
LE CARATTERISTICHE DEL SETTIMO CHAKRA
BENEFICI E FINALITA’ DEL
STUDIO SULL'OLISMO
CAP 1: L’OLISMO
STUDIO SULL'OLISMO
CAP 4: IL MASSAGGIO OLISTICO
Nel mio ultimo post Vi ricorderete che mi sono occupato dell’importanza di vivere il presente consapevoli che ciò che è passato ormai non esiste più e non potrà più in futuro ripetersi con modalità uguali e che neanche il futuro esiste perché non si è ancora realizzato e se mai si realizzerà sarà comunque diverso da come oggi lo possiamo immaginare.
COME AFFRONTARE “IN MODO NATURALE” I DISTURBI CAUSATI DALL’ANSIA E DALLO STRESS.
Un approfondimento sull’utilizzo degli ansiolitici e sull’importanza dei messaggi provenienti dalle malattie psicosomatiche
Dopo aver analizzato ( nel capitolo quinto pubblicato da “ www.naturopataonline.it ” il 18 febbraio 2016 ) quello che dovrebbe essere l’atteggiamento comportamentale più appropriato al presentarsi di un episodio ansioso, in questo articolo mi occuperò , in particolare, dei rimedi e dei trattamenti naturali più indicati per assicurare il riequilibrio energetico del soggetto influenzato negativamente da questi episodi.
Come ho più volte ricordato nei precedenti capitoli di questo studio, la base di approccio per il trattamento dell’ansia da stress è quella di portare il soggetto a rilassarsi, nel corpo e nella mente e, a tal fine, ho indicato anche i diversi trattamenti e massaggi che possono appunto contribuire efficacemente al raggiungimento di questo risultato ( vedi post pubblicato da Naturopataonline il 20 maggio u.s.).
RECENSIONE del nuovo libro di Gerry Chirò
38 PERSONAGGI IN CERCA DI UN... FIORE DI BACH
IL SUONO DELLE CAMPANE TIBETANE
di Gerry Chirò
IL CICLO CIRCADIANO E L’ENERGIA DELLE EMOZIONI
di Gerry Chirò
Nella Medicina occidentale il “ciclo circadiano” si identifica, come a molti è noto, in un ritmo contrassegnato e inquadrato in un periodo che regola l’attività fisiologica del corpo umano nell’arco temporale di 24 ore (c.d. orologio biologico): il termine “circadiano” proviene dal latino “circa diem” ed il suo significato è “intorno al giorno”. Ad esempio, sono soggetti all’influsso del ritmo circadiano il ciclo sonno- veglia, la temperatura corporea, la pressione sanguigna, l’appetito….
Per la Medicina Tradizionale Cinese (MTC) il ciclo circadiano è molto, molto di più : esso , infatti, è strettamente collegato al principio “base” della stessa MTC e cioè che tutto ciò che attiva le funzioni del nostro corpo si identifica nella “energia vitale” (Qi) che ha il compito di vivificare e regolare il nostro equilibrio psico-fisico. Questa energia scorre senza pause all’interno di un complesso sistema di percorsi: i c.d. “meridiani cinesi”, dodici canali energetici deputati a distribuire il flusso in favore della funzionalità dei vari organi presenti nel nostro corpo. La funzionalità di questi organi, ciascuno dei quali è associato ad uno dei dodici meridiani principali, si esprime quindi con una specifica energia propria.
E’ scontato che, anche per la MTC, esiste fisicamente il cuore, il fegato, lo stomaco…ma ogni organo esprime anche una propria energia collegata ed influenzata dalle emozioni, dai sentimenti, dai pensieri, dalla mente e dall’anima.
Gli organi ed i visceri interessati, per le loro specifiche funzioni, dai dodici meridiani principali sono: polmone, cuore, rene, fegato, milza-pancreas e maestro del cuore con i rispettivi visceri ad essi rapportati (intestino crasso, intestino tenue, vescica urinaria, vescica biliare, stomaco, triplice riscaldatore).
Rimaniamo, in qualche modo, colpiti da due meridiani: quello del Maestro del cuore e quello del Triplice riscaldatore. Dobbiamo spendere qualche parola per ricordare che si tratta di due canali energetici che non trovano una precisa corrispondenza sul piano fisico ma adempiono, invece, ad una loro funzione specifica . Il meridiano del Maestro del cuore ha il compito di equilibrare le emozioni controllandole e proteggendo il cuore dalla negatività degli eccessi emotivi. Regola l’attività del sangue, controlla l’apparato cardio-vascolare e agisce sullo Shén ( spirito divino). Il Triplice riscaldatore, a sua volta, armonizza le varie parti del corpo, le collega e consente il fluire del Qi e del sangue, è incaricato di trasformare gli alimenti in energia e di creare connessioni energetiche estremamente importanti per il corpo. In altre parole può dirsi che esso rappresenta l’organo della vitalità. Nella medicina occidentale la sua attività energetica potrebbe essere, in qualche modo, associata al funzionamento dei sistemi ormonale, immunitario e linfatico.
Abbiamo prima ricordato l’importanza dell’energia quale principio basilare della MTC secondo la quale, quando l’energia circola in modo equilibrato e fluido nel nostro organismo, senza blocchi, rallentamenti od intralci, essa contribuisce a renderci tonici, allegri, disponibili, favorendo, in tal modo, il raggiungimento ( o mantenimento) del nostro benessere psico-fisico..
Sempre secondo la MTC il flusso energetico ha un suo ciclo temporale ricorrente che interessa l’intero arco della giornata (24 h), durante il quale lo scorrimento dell’energia, all’interno dei singoli meridiani, non è sempre uguale: infatti, nel corso delle 24 ore, per ogni organo, vi sono due ore in cui esso raggiunge il livello massimo della sua funzionalità energetica potenziale e, all’incirca dopo dodici ore, si verifica il momento della sua minima espressione energetica.
Questo ciclo quotidiano, in cui il nostro organismo, ogni due ore, viene costantemente influenzato dall’energia specifica di ogni organo è il ritmo circadiano dettato dai principi base della Medicina Tradizionale Cinese.
Questo ciclo circadiano divide la giornata in 12 zone, alle quali fanno riferimento i corrispondenti dodici meridiani a ognuno dei quali è quindi riferito un arco di competenza pari a due ore a copertura delle 24 ore giornaliere.
Ad ogni organo la MTC associa una specifica “emozione” e, in base a questa correlazione, sarà possibile stabilire quanto questa emozione si ripercuota ( positivamente o negativamente) sull’equilibrio funzionale di quell’organo.
Gli organi del corpo umano sono, infatti, particolarmente sensibili alle emozioni e risentono ,quindi, anch’essi ( positivamente o negativamente) dei loro influssi energetici.
Un piccolo passo indietro per ricordare che la stessa filosofia taoista individua 5 emozioni correlate con altrettanti organi: la GIOIA con il CUORE, l’IRA con il FEGATO, la PAURA con i RENI, la TRISTEZZA con i POLMONI e l’ANSIA con la MILZA. Conseguentemente ogni eccesso energetico negativo di tali emozioni è destinato a ripercuotersi sull’organo corrispondente provocandogli una disfunzionalità se non, addirittura, una patologia fisica.
La MTC ha elaborato il principio taoistico aggiungendo altre due emozioni ( RIMUGINAZIONE e SPAVENTO) e collegandole, rispettivamente, alla MILZA ed ai RENI/CUORE.
Da quanto ho sopra precisato possiamo, allora, trarre le seguenti conclusioni:
• Quando la GIOIA si trasforma in troppa eccitazione, in troppa euforia, tale stato può provocare alcune PATOLOGIE CARDIACHE quali palpitazioni, agitazioni e insonnia
• Quando la troppa RABBIA si trasforma in ira, risentimento, frustrazione, sarà il FEGATO a risentire di queste emozioni colleriche negative.
• L’ANSIA e la RIMUGINAZIONE possono portare ad una eccessiva preoccupazione che può sfociare in un affaticamento della MILZA ma anche dei POLMONI influendo negativamente sulla respirazione che risulterà corta e poco profonda.
• La TRISTEZZA, nella sua trasformazione in dolore profondo, è un’emozione negativa che si ripercuote direttamente sulla funzionalità dell’organo POLMONE interessando la respirazione (con dolori al petto e al torace)
• La PAURA e lo SPAVENTO, quando si presentano come emozioni esagerate ( Terrore) presentano una corrispondenza con la funzionalità del RENE ( perdita del controllo delle funzioni renali) ma anche del CUORE (tachicardia e palpitazioni).
La considerazione finale, allora, è che, in presenza di stati funzionali non equilibrati dovuti al rapporto tra emozioni ed organi corrispondenti, attraverso la mappatura fornitaci dal ciclo circadiano, e grazie ai princìpi indicati dalla MTC, abbiamo la possibilità di verificare la rispondenza della situazione alla fascia temporale interessata ed intervenire appropriatamente con le varie tecniche di riequilibrio energetico che conosciamo per ristabilire il benessere psico-fisico perduto.
I TINGSHA
di Gerry Chirò
Il termine “ Tingsha” indica il nome tradizionale indiano riferito a due piatti circolari di solido metallo, di piccole dimensioni ( da un minimo di 6 centimetri di diametro ad un massimo di 12) uniti tra di loro da una corta fettuccia di pelle (cuoio). Essi vengono posizionati in sospensione orizzontale al centro della striscia di pelle e quindi fatti toccare , con un colpo secco, l’uno contro l’altro generando un suono originale particolarmente vivo ed acuto.
La loro funzione primaria è quella di strumento religioso rituale utilizzato soprattutto nelle pratiche di meditazione e la loro provenienza è collegata alla tradizione dei tibetani buddisti praticanti.
I Tingsha vengono, peraltro, usati anche nel “sound healing” ( musicoterapia) perché il suono da loro prodotto genera una risonanza unica molto chiara, squillante e lunga che viene ritenuta ricca di proprietà energetiche curative. Per tale motivo si usano anche e soprattutto per il riequilibrio dei Chakra e per richiamare la mente al momento presente.
Prima e dopo un trattamento “olistico” o una seduta di meditazione sono in grado di cancellare campi di energia negativa presenti nella stanza e, proprio per questa loro caratteristica, sul dorso dei due piatti viene spesso riprodotta la serie sacra degli otto simboli del buon auspicio provenienti dalla tradizione buddista.
Nel buddismo, infatti, questi otto simboli rappresentano le offerte fatte dagli dei in favore di Buddha subito dopo che questi ha avuto il dono dell’illuminazione. E, allora, se avrete modo di avere un giorno tra le mani questa particolarissima coppia di piatti, troverete, molto probabilmente, questi otto simboli: la conchiglia, il vaso del tesoro, la coppia di pesci, il prezioso ombrellone, la bandiera della vittoria, il nodo infinito, il fior di loto e la ruota.
AROMATERAPIA E PROFUMI
di Marcella Minafra
Articolo pubblicato su OLTRE ELITES- New Lifestyle & Wellness Magazine
COME SCEGLI IL TUO PARTNER
di Marcella Minafra
Articolo pubblicato su OLTRE ELITES- New Lifestyle & Wellness Magazine (n.1 / 2015)
Riflessologia Plantare e Comunicazione tattile
di Gerry Chirò
Una seduta di riflessologia plantare non è, come molti sono portati a pensare, soltanto un trattamento “manuale” sul piede, finalizzato, attraverso una corretta stimolazione dei punti riflessi, a ristabilire il benessere di una persona.
Certo, l’obiettivo primario è quello di favorire, attraverso pressioni mirate, la ripresa energetica degli organi che si trovano in una fase di squilibrio funzionale ma una seduta di riflessologia plantare, per noi naturopati, è e deve essere, soprattutto, il momento di una “comunicazione tattile” tra la mano dell’operatore ed il piede di chi riceve il trattamento.
Grazie ai preziosi e insostituibili insegnamenti del mio maestro di riflessologia plantare Luigi Dragonetti e con l’esperienza di tanti anni maturata “sul campo” mi sono reso conto che, in una seduta di riflessologia plantare, non basta semplicemente “ toccare, premere, lisciare, stirare, lombricare, torcere, impastare…”: occorre superare la fisicità manuale del gesto ed operare ad un livello relazionale più profondo, un contatto che trasmetta impulsi, un contatto che sia intuizione ed ascolto, una presa di coscienza del messaggio che il piede trattato sta trasmettendo: una “comunicazione tattile” che diventa essenziale perché immediata ed autentica e che sostituisce e supera il linguaggio verbale troppe volte vuoto ed ingannevole.
Ecco, allora, che inizia a comprendersi l’importanza dell’intervento del naturopata-riflessologo in questa “comunicazione tattile” dove la sensibilità, la preparazione e l’esperienza dell’ “operatore del benessere” è in grado di meglio comprendere i messaggi del piede ( rectius: del corpo) e le sue richieste di aiuto.
Per questi motivi, nelle mie sedute di riflessologia plantare, suddivido il trattamento in tre fasi temporali distinte e destinate a impreziosire il rapporto tra chi tratta e chi riceve ed a fornire un pacchetto personalizzato di contatti che andrà oltre il toccare fisico.
Sarà allora un trattamento speciale “con…tatto”, dettato da tocchi e manipolazioni ispirati dall’accortezza, dal rispetto, dalla sensibilità e, soprattutto, dall’attenzione per il nostro cliente ( che, nel nostro campo, proprio per quanto detto, preferisco chiamare “assistito”) ed, in tal modo il contatto effettuato con “tatto” prima di essere solo un trattamento sarà una comunicazione relazionale coinvolgente e profonda destinata a dare sollievo, instaurando un rapporto energetico che penetrerà dolcemente nel piede e quindi in tutto il corpo del nostro assistito e scioglierà le tensioni e i blocchi energetici fisici e psichici.
E, allora, esploriamo insieme, queste fasi:
PRIMA FASE: Conoscenza/ Accoglienza
La seduta iniziale di un trattamento di riflessologia plantare dovrà necessariamente favorire la conoscenza di quelli che saranno, indiscutibilmente, i due protagonisti della seduta stessa: la mano dell’operatore ed il piede dell’assistito. I due non si sono mai visti e si incontrano per la prima volta: il buon esito della seduta sarà collegato anche alla fiducia che il piede è disposto a riporre nella mano che lo tratterà.
Il piede e la mano devono conoscersi, piacersi, accettarsi, fidarsi e, conseguentemente, rilassarsi.
La conoscenza tra i due sarà allora favorita da una fase manuale dolce ma profonda, morbida ma, nello stesso tempo, stimolante. Il tutto attraverso una “comunicazione tattile” tale da accendere subito, nel toccante e nel toccato, sensazioni positive e coinvolgenti che trascendono la fisicità del tocco.
La “ fase della conoscenza”, nelle sedute successive, sarà sostituita dalla “fase dell’accoglienza” dove il piede e la mano, rincontrandosi, si comunicheranno reciprocamente, come due vecchi amici, il piacere del ritrovarsi insieme.
In altre parole, la mano dell’operatore trasmetterà al piede dell’assistito una sincera sensazione di accoglienza e sicurezza che conforterà e rassicurerà chi riceverà il trattamento.
“Contatto, carezze, coccole…”: dolci e morbide attenzioni che rispondono ad un unico obiettivo: uno scambio relazionale di fiducia indirizzato a migliorare e rilassare, per tutta la seduta, lo stato psicofisico dell’assistito.
SECONDA FASE: Tecnica operativa
Terminata la prima fase ( conoscenza/accoglienza), che durerà almeno 10/15 minuti, siamo finalmente pronti per affrontare, nel modo migliore possibile, la ben nota fase operativa e centrale della seduta: il piede del nostro assistito sarà rilassato, morbido e maggiormente disponibile a ricevere le pressioni mirate sui punti riflessi, spesso e inevitabilmente un po’ fastidiose e talvolta dolorose.
Anche in questa fase il piede sa che, nonostante tutto, potrà fidarsi della mano “amica” dell’operatore e, con maggiore consapevolezza e rilassamento, collaborerà con lei per facilitare il raggiungimento dell’obiettivo: la corretta stimolazione delle zone riflesse da parte di chi esegue il trattamento per il tempo necessario allo scopo.
TERZA FASE: Rilassamento
Sarà la parte sicuramente più gradita dal nostro assistito. Dopo le necessarie pressioni, non sempre accettate con…piacere spontaneo da chi riceve il trattamento, la fase finale – che durerà almeno altri 10 minuti- coinciderà con il ringraziamento ed il saluto reciproco tra la mano ed il piede.
I due amici sono stati insieme, hanno apprezzato piacevolmente la fase dell’accoglienza, hanno anche sofferto insieme nella fase della tecnica operativa ( anche l’operatore, credetemi, soffre intimamente quando l’assistito mostra dolore in alcune pressioni particolari… ma proprio il dolore è il segnale preciso dell’individuazione del giusto punto da trattare) ed ora sono di nuovo contenti di stare bene insieme, di vivere e godere finalmente un momento di profondo rilassamento, di toccarsi con la consapevolezza del meritato piacere, di trasmettersi reciprocamente le proprie sensazioni.
Il piede del nostro assistito ha bisogno di essere di nuovo coccolato, accarezzato, in qualche modo viziato di…piacere tattile.
Ed il Naturopata sa come trasmettergli questa emozione.
MA CHE COSA FA IL NATUROPATA?
di Gerry Chirò
Può apparire quanto meno strano il fatto che una Rivista di Naturopatia, riservata espressamente ai cultori della materia, ospiti un articolo che cerca di spiegare cosa significa essere un naturopata.
Eppure io sono convinto che, tra i numerosi lettori di OLTRE, non manchino coloro che, nell’avvicinarsi con passione a questo mondo così affascinante della naturopatia, sono però ancora dei neofiti della materia.
Ed allora proprio a Voi vorrei dedicare il mio articolo sperando di esaudire in qualche modo, la Vostra legittima curiosità. E, per questo, ritorno alla domanda in argomento: che cosa fa un naturopata?
Bella domanda, appunto, alla quale non è poi tanto semplice e scontato rispondere. Ma ci proverò prendendo anche spunto da un po’ di esperienza professionale maturata in questo settore.
Dunque, iniziamo dicendo che il naturopata viene generalmente qualificato come un “operatore del benessere” ma la denominazione, a mio avviso, non chiarisce in modo esaustivo il suo settore specifico di attività.
Sgombriamo subito il campo da un equivoco di fondo nel quale molti, non addentro alla materia, rischiano di cadere : il naturopata non è un medico, non fa diagnosi e non prescrive terapie, né tanto meno può somministrare medicinali. Tutto questo gli è assolutamente vietato e, se lo facesse, sarebbe passibile del reato di esercizio abusivo della professione medica.
Però il naturopata, se richiesto, ben può affiancare anche un medico, integrando, con i suoi trattamenti naturopatici , il percorso di guarigione intrapreso dal paziente.
Ma cosa si intende, allora, per “ trattamenti naturopatici”?
E proprio su questa domanda si apre finalmente il mondo, esplorato fin qui ma sicuramente ancora non del tutto, della naturopatia che, da un lato, consiste nel concepire un modo di vivere, appunto, secondo natura e, dall’altro, promuove la ricerca del benessere psico-fisico di una persona attraverso l’utilizzo dei c.d. rimedi naturali, ricorrendo cioè a tutto quello che la natura è in grado di offrirci e che può risultare utile ad alleviare un disturbo ed a far recuperare e mantenere lo stato di benessere.
A questo punto occorre precisare meglio quest’ultimo concetto partendo dal presupposto che la natura costituisce, da sempre, una fonte inesauribile di risorse delle quali, guidati dall’esperienza e dalla professionalità del naturopata, tutti noi possiamo usufruire con “ naturalezza” per riequilibrare energeticamente il corpo e la mente.
La natura produce, infatti, spontaneamente, innumerevoli “ sostanze energetiche” e, nella natura, riusciremo allora a trovare, molto più spesso di quanto possiamo immaginare, ciò di cui abbiamo bisogno per riequilibrare i nostri scompensi.
Per quanto riguarda, invece, il “vivere secondo natura”, con tale locuzione il naturopata intende consigliare l’adozione, nella vita di tutti i giorni, di uno stile comportamentale volto a garantire, con naturalezza, equilibrio e benessere, vivendo, praticamente, in modo assolutamente diverso e opposto a quello in cui siamo costretti a barcamenarci invasi dall’ansia e dallo stress che la vita moderna, così movimentata e caotica, ci riserva ogni giorno.
Facile a dirsi, ma come funziona tutto questo nella pratica?
Partiamo da una considerazione preliminare che può aiutarci a comprendere in che modo dobbiamo ( e possiamo) comportarci quando “ non ci sentiamo bene, non siamo in forma, siamo agitati, nervosi, stanchi e…chi più ne ha più ne metta…”.
Per seguire il discorso che sto per fare dobbiamo compiere un passo indietro e ricordare che il modo di vivere la vita, secondo i cultori della naturopatia, è, in qualche modo, collegato al pensiero filosofico orientale nonché ai principi della medicina tradizionale cinese che basano sull’energia il motore propulsivo del “tutto”.
Sarebbe assolutamente complicato e fuor di luogo approfondire in questa sede i principi informatori e la motivazione fondamentale di questi aspetti ma cerchiamo di dare per acquisito che, senza la spinta di un’energia, l’universo intero, la nostra galassia con il sole, i pianeti e, tra questi, il mondo con tutti gli elementi animati e inanimati che lo compongono, non avrebbero possibilità di esistere.
Del resto la stessa cultura cinese usa ricordare che un corpo, non sorretto dall’energia, è solo una “cosa inanimata”.
Cosa significa tutto questo? E’ chiaro che, anche noi occidentali, non facciamo fatica ad immaginare che, quando l’energia fluisce liberamente dentro di noi ci sentiamo bene, siamo motivati, ottimisti, disponibili, in altre parole, “ tonici ed energici” sia nel corpo che nella mente.
Quando invece siamo carenti di energia ( la medicina tradizionale cinese ben conosce questa situazione allorquando, nei cosiddetti meridiani, accerta che l’energia incontra dei blocchi o dei rallentamenti nel suo flusso regolare) ci sentiamo non solo stanchi e affaticati fisicamente ma anche inquieti e nervosi perché anche il nostro umore ne risente.
In poche parole, in questi casi, abbiamo assolutamente bisogno di un qualcosa che risistemi efficacemente il nostro equilibrio energetico.
Se abbiamo capito questo basilare ma indispensabile passaggio possiamo allora facilmente comprendere anche che molte malattie , e soprattutto quelle che rientrano nella c.d. “area psicosomatica”, sono strettamente collegate alla presenza di squilibri energetici e, come tali, vengono curate dalla medicina tradizionale cinese.
Detto questo possiamo allora affermare che “ riequilibrare energicamente” e quindi portare una persona al recupero del proprio benessere psico-fisico è esattamente il percorso che caratterizza l’attività del naturopata il cui compito sarà quello di ricercare la causa dello scompenso ed individuare, tra i vari rimedi offerti dalla natura, quelli più adatti alla situazione che si troverà dinanzi.
Il primo passo che farà il naturopata nel primo incontro con il suo assistito sarà quello di “osservare attentamente” ed “ascoltare pazientemente e senza fretta” la persona che si è rivolta a lui proprio perché dall’ascolto e dall’osservazione scaturiranno quelle impressioni e quelle intuizioni che , quasi sempre, costituiranno la premessa per l’individuazione del “trattamento naturopatico” da seguire.
Il compito che attende il naturopata non sarà affatto semplice in quanto le diversità caratteriali della persona che si troverà di fronte possono essere innumerevoli e proprio per questo sarà indispensabile l’attenta osservazione ed il paziente ascolto.
Facciamo velocemente alcuni esempi per dimostrare proprio la variegata difficoltà del primo incontro ma, nello stesso tempo, anche l’importanza della sua analisi valutativa:la persona potrà mostrarsi, nei vari casi, timida, sensibile, assente, apatica, rassegnata, depressa oppure, al contrario, bloccata, nervosa, impaziente, aggressiva, eccitata, sottopressione oppure ancora arrogante, invadente, rigida e così via…
Il naturopata dovrà riuscire a cogliere tali caratteristiche caratteriali perché, come abbiamo detto, molto spesso, proprio su queste potrà porre le basi di partenza per il riequilibrio della persona che avrà dinanzi.
Prima di approfondire l’iter pratico di intervento vorrei richiamare ancora all’attenzione quanto in precedenza ricordato e cioè che uno squilibrio energetico porta uno scompenso che frequentemente origina a livello di disturbo o disagio mentale ( con episodi ansiosi, depressivi, attacchi di panico) ma che poi, quasi sempre, trova riflessi anche a livello fisico/corporeo ( con disturbi psicosomatici di cui facili esempi possono ritrovarsi in cefalee tensive, ipertensioni, gastriti, colon irritabile, lombalgie e dolori vari alla colonna vertebrale).
Se a questo si aggiunge che molte volte tali squilibri, come abbiamo visto, condizionano lo stesso atteggiamento e la stessa postura del cliente, il quadro generale ricavabile dall’aspetto, dal comportamento e da quanto risulterà in modo verbale e non dal colloquio, si rivelerà assai utile a favorire una prima importante analisi della situazione.
A questo punto l’intervento del naturopata potrà indirizzarsi verso la scelta di quei rimedi che la natura può offrire nei suoi molteplici aspetti dei quali essa si compone e che il naturopata individuerà in relazione alle peculiarità del disturbo di cui si sta occupando.
Non è compito di questo articolo occuparsi specificatamente dei vari rimedi e trattamenti naturopatici: basta sfogliare , con attenzione e passione, i vari numeri di OLTRE per avere appagamento alle nostre curiosità e trovare i consigli più utili e gli approfondimenti più interessanti relativi a questo o quel rimedio nonché spunti e riflessioni sui comportamenti più indicati per vivere “ secondo natura”.
La lettura della Rivista consentirà allora, anche al lettore neofita ma curioso e appassionato, di lasciarsi portare per mano ed immergersi con entusiasmo nel mondo della naturopatia. E, sicuramente, non ne resterà deluso.
Nell’avviarmi a conclusione vorrei rispondere a quei lettori che mi chiedono qual è il mio campo di attività ed, allora, voglio ricordare che ogni naturopata segue, quasi sempre, un suo percorso personale e professionale che lo porta poi a specializzarsi in una o più discipline in cui possono suddividersi i trattamenti naturopatici.
Resta fermo che, in ogni caso, come fattore comune di ogni naturopata, alla base di ogni trattamento ci sarà la consapevolezza di trattare il proprio assistito nella sua globalità corpo/mente indirizzando il suo stile di vita secondo i ritmi ed i principi che la natura detta e che, purtroppo, come abbiamo già detto, il caos esistenziale in cui ci dibattiamo ci fa troppo spesso dimenticare.
Per quanto riguarda la mia esperienza, il mio campo di attività naturopatica si è, nel tempo, sempre più indirizzato al trattamento dei disagi provocati da fenomeni ansiosi e dagli scompensi energetici conseguenti a situazioni di stress, nonché di tutti quegli squilibri di natura psicosomatica originati da essi e che necessitano di un rimedio riequilibratore e rilassante.
Per far ciò i “rimedi naturali” ai quali preferibilmente attingo sono soprattutto i fiori di Bach che costituiscono, a mio avviso, una formidabile base iniziale di “copertura” ed ai quali vado ad affiancare, a seconda delle necessità, trattamenti quali la riflessologia plantare, il massaggio cranio-sacrale nonchè altri tipi di massaggi volti soprattutto al rilassamento psicofisico e ad assicurare un beneficio immediato nel corpo e nella mente ( vedi, al riguardo, il mio articolo “ La comunicazione tattile ed il Naturopata” sul numero 2-Anno IV di OLTRE). E sembra che i risultati siano proprio buoni….
Pubblicato su OLTRE - rivista di Naturopatia - Anno 2011 numero 4
LA COMUNICAZIONE TATTILE ED IL NATUROPATA
di Gerry Chirò
Se gli “ organi di senso” servono principalmente a permetterci di relazionarci ed interagire con il mondo che ci circonda, il tatto, in particolare è in grado di “comunicare” con gli altri ad un livello più profondo.
Mentre, infatti, la vista, l’udito, l’odorato ed il gusto ci consentono un’apertura sensoriale “ oggettiva” ma limitata, il tatto accende, nel toccante e nel toccato, sensazioni soggettive immediate che, quasi sempre, trascendono la fisicità del tocco.
Ed il nostro corpo risponde, a questa caratteristica, con tutta la sua superficie. Infatti la peculiarità del tatto è proprio l’ampiezza della sua distribuzione.
La differenza con gli altri sensi è che essi operano specificamente attraverso i relativi organi deputati alla loro attività, mentre il tatto risponde alla sua funzione attraverso i “ recettori” che sono distribuiti su tutta la pelle, dalla sommità della nuca alla punta estrema delle dita dei piedi.
Il nostro corpo diventa, allora, un’area spaziale completa a disposizione per dare e ricevere gli stimoli tattili che provengono dall’esterno.
Ed il primo stimolo d’amore lo riceviamo già al momento della nascita e nei primissimi giorni di vita dove il tocco e le carezze della mamma ci “comunicano” quel sentimento di accoglienza e sicurezza che ci conforta e ci rassicura.
E’ noto che numerose ricerche scientifiche hanno dimostrato che la stimolazione tattile è assolutamente indispensabile per la sopravvivenza dell’organismo e che persone private nell’infanzia di carezze ne hanno sofferto a livello di sano sviluppo fisico e psichico portandosi dietro pericolose carenze comportamentali nell’età adulta.
Tutto questo significa che quando si ama una persona l’esigenza naturale è proprio quella di toccarla, di accarezzarla così come , del resto, noi stessi facciamo con il nostro corpo quando una parte di esso è dolorante. La tocchiamo, la accarezziamo, la massaggiamo.
“Contatto”, “Carezze”, “Massaggio” : una simbiosi gestuale che risponde ad un unico obiettivo, uno scambio relazionale d’amore indirizzato a migliorare lo stato psicofisico di chi riceve tale trattamento.
Ma per arrivare a tutto questo non basta semplicemente “ toccare “,”carezzare”, “massaggiare” : occorre superare la fisicità del gesto ed operare ad un livello relazionale più profondo, un contatto che trasmetta impulsi profondi, un contatto che sia intuizione ed ascolto, una presa di coscienza del messaggio che il corpo “toccato” sta trasmettendo: una “ comunicazione tattile” che diventa essenziale perché immediata ed autentica e che sostituisce e supera il linguaggio verbale, spesse volte vuoto ed ingannevole.
Ecco allora che inizia a comprendersi l’importanza dell’intervento del naturopata in questa
“ comunicazione tattile” dove la sensibilità e la preparazione dell’“operatore del benessere” è in grado di meglio comprendere i messaggi del corpo e le sue richieste di aiuto.
Il naturopata sa che quando l’energia che scorre dentro di noi non fluisce liberamente il nostro organismo si irrigidisce, ne risente negativamente e noi, di conseguenza, stiamo male.
Il naturopata sa che, in queste situazioni, i conflitti emotivi e lo stress si impadroniscono di noi e la nostra persona, intesa complessivamente ed unitariamente come corpo-mente, perde ogni capacità di rilassarsi e, a sua volta, il mancato rilassamento esaspera la condizione di tensione.
Il naturopata è in grado di accorgersi quando questi “disequilibri psichici” si ripercuotono a livello fisico comportamentale: il corpo si contrae e si irrigidisce ed aumentano le tensioni che si scaricano a livello di articolazioni e di singoli organi ( tipici esempi possono ritrovarsi nei dolori articolari e muscolari della schiena, dolori cervicali, cefalee tensive ecc):
Ma anche gli organi interni “somatizzano” e così malattie dell’apparato digerente ( colon irritabile, gastriti ecc) ovvero tachicardie, sbalzi di pressione ecc sono sintomatici di uno stato di tensione interna e ci indicano, in modo molto chiaro, l’organo bersaglio di una situazione di stress o di conflitto emotivo.
Queste conoscenze danno allora al naturopata la possibilità di utilizzare la “ comunicazione tattile” per ristabilire il benessere psico-fisico della persona trattata cogliendo i messaggi del corpo e utilizzando lo strumento del “ massaggio” per il raggiungimento dell’obiettivo.
Sarà un contatto che andrà “oltre” il toccare fisico. Sarà un massaggio “ con…tatto” dettato da tocchi e gesti ispirati dall’attenzione, dall’accortezza, dal rispetto, dalla sensibilità. Dall’amore per l’altro e dunque…”con…tatto”.
In tal modo il contatto effettuato con “tatto”, prima di divenire massaggio sarà una comunicazione relazionale coinvolgente e profonda destinata a dare sollievo ai disagi presenti instaurarando un contatto energetico che penetrerà dolcemente nel corpo dell’altro e scioglierà le tensioni fisiche e psichiche.
Pubblicato su OLTRE - rivista di Naturopatia - Anno 2010 numero 2
LA DISTRAZIONE
L’ esigenza di liberare la mente
di Gerry Chirò
La parola distrazione ci porta, quasi automaticamente, a dare, del termine, un giudizio negativo. Distrazione come sviamento del pensiero dalla realtà oggettiva.
Pertanto la persona distratta è quella che non appare ancorata alla realtà, quasi vivesse in un altro mondo, lontano dai problemi reali, dalle esigenze contingenti.
L’impulso che, nel corso della nostra vita, riceviamo in continuazione dai genitori, dai maestri, dai nostri superiori è quello di non distrarci per non perdere il contatto con la realtà delle cose.
Ma la distrazione è anche sinonimo di svago, evasione, intesi come fuga dal quotidiano ovvero ricerca di un momento di distacco dalla routine ordinaria del nostro lavoro, del nostro studio, della nostra normalità.
Già dalla lettura delle due diverse caratterizzazioni del termine distacco si avverte come la prima individui un comportamento vissuto in modo razionalmente e logicamente teso a controllare il succedersi delle cose, con attenzione e totalità, per non lasciarsi sfuggire il loro dominio.
E’ l’atteggiamento del pensiero controllore, della mente sentinella, di un’attività cerebrale attenta ad evitare possibili fuoriuscite oltre il proprio raggio di vigilanza.
L’input ricorrente è: nulla mi deve sfuggire, tutto è sotto controllo.
La seconda caratterizzazione si ricollega invece ad un concetto di fantasia, di irrazionalità, di distacco guidati da un pensiero che rompe le barriere della realtà ed evade verso il mondo “ magico” dell’inconsapevole, del sogno ad occhi aperti, dell’immaginario.
Come conciliare due caratteristiche così antitetiche, così contrastanti ma, nel contempo così talmente necessarie da richiedere, da un lato, la motivazione della loro sussistenza e dall’altro la soluzione per consentire una loro interattività?
Se, come essere intellettualmente superiore, devo essere presente in ogni luogo ed in ogni momento che vivo avendo coscienza e consapevolezza di quello che accade intorno a me, è anche vero che la mia psiche ha una caratteristica (che è anche una necessità) che supera i limiti della logica e della razionalità: la possibilità di fantasticare di giorno e di sognare di notte.
Ed è nell’equilibrio tra questi due atteggiamenti (esserci/non esserci) che noi possiamo e dobbiamo bilanciare il nostro essere presente ed il nostro evadere lasciandoci guidare, volta per volta, dallo spirito della ragione e dalla ragione dello spirito.
Tutto questo per eliminare o meglio (utilizzando il termine che poi di fatto siamo abituati ad usare per definire la situazione) per allentare le tensioni che nel corso di un certo periodo di tempo andiamo via via accumulando.
Ecco allora lo svago come antidoto alla fatica, l’evasione come reazione alla normalità del quotidiano, il fantasticare come momento di abbandono della mente rispetto all’esigenza razionale di essere sempre, comunque, dovunque, presenti.
Ma, attenzione: l’esigenza razionale dell’essere sempre, comunque, dovunque, presenti può essere fortemente dannosa in quanto necessita di una costante e forte tensione comportamentale che, se prolungata, è a rischio elevato di stress.
E allora, quando è necessario, occorre evadere.
Liberando la mente e consentendole di uscire dalle tensioni, entrando consapevolmente nel mondo dell’inconscio e da questo, spontaneamente, facendoci guidare.
E la distrazione non diventerà, allora, solo un momento fisico e temporale ben definito e strutturato come un periodo di ferie, una partita a tennis, un cinema, una gita o un viaggio di piacere; non sarà solo un momento di bilanciamento di un altro ben definito periodo di studio, di lavoro, di affaticamento psico-fisico bensì costituirà la base di un nuovo modus vivendi dove l’evasione mentale nutrirà la nostra mente, il nostro Io irrazionale, e li porterà a vagare nel tempo e nello spazio nutrendosi di sogni, di fantasie, di magia e di ….. libertà.
“Quando la mente si incanta…ogni prodigio è possibile”
R.A. Schwaller De Lubicz
Pubblicato su OLTRE - rivista di Naturopatia - Anno 2011 numero 2
OGNI GIORNATA E’ FORMATA DA 24 ORE
Il quadro va dipinto con i colori che abbiamo
di Gerry Chirò
Come tutti noi ben sappiamo il giorno si identifica in un ciclo temporale sempre uguale, impostato in modo perfetto dalla natura e formato da 24 ore che si ripetono, da sempre, con uguale cadenza e ritmo, con un sole che sorge e tramonta, una notte che si alterna al giorno, un buio che sostituisce la luce ……..
Proviamo allora a riflettere su questo aspetto e forse riusciremo meglio a considerare ogni giornata come una singola, autonoma sezione della nostra vita, di ventiquattro ore precise, non una di più, finalizzata a se stessa proprio grazie alla sua ciclicità unica ed irripetibile.
Partendo dal mattino (momento del risveglio) inizia una nuova giornata che (preceduta dalla fase del riposo notturno) dà vita alla ricostruzione, giorno per giorno, di ognuno di noi: la rinascita, di noi stessi, dal nulla.
La natura, per proprio conto, ci assicura, durante la notte, le condizioni di astrazione psico-fisica dalla realtà e di ricarica energetica del nostro organismo: i due elementi essenziali che, da un lato, servono a separare, idealmente, ogni giornata rispetto alla precedente e, dall’altro, dànno, ad ogni giorno, la caratteristica di un evento temporale nuovo, tutto da vivere e scoprire.
Per far questo immaginiamo ogni nostra nuova giornata come una tela bianca di un quadro che ci viene consegnato e che noi, per ventiquattro ore, dovremo dipingere con i colori che ci vengono proposti dal nostro umore, dal nostro stato d’animo, dalla nostra volontà, dai nostri pensieri ma, soprattutto, dalla casualità degli eventi.
Il nostro lavoro di pittore avrà una durata fissa e ciclicamente predeterminata perché, a fine giornata, riconsegneremo idealmente a noi stessi la tela che avremo disegnato con i colori che solo quella particolare giornata ci ha messo a disposizione.
E in quella giornata non avranno quindi senso né utilità i colori utilizzati il giorno prima ma, soprattutto, i colori che ci verranno proposti il giorno dopo e che, allo stato, non siamo in grado di poter conoscere.
E se i colori rappresentano gli eventi che la casualità delle situazioni ci propone, quanto è avvenuto il giorno prima rappresenta un tubetto di colore già superato e quello che ci aspetta per il giorno dopo un tubetto di colore sconosciuto (e che forse potrebbe addirittura non esserci consegnato).
La tela va dipinta con i colori che abbiamo. Cosa significa tutto questo? Che molto spesso imponiamo a noi stessi l’utilizzo di colori di cui non disponiamo più o che ancora non abbiamo, vivendo, non la giornata (l’attimo) presente, ma il rimpianto o il dolore del giorno prima o l’ansia e la preoccupazione del giorno che deve ancora venire.
E con questo rinunciamo a vivere l’unica cosa certa: il nostro presente sporcando così la nostra tela giornaliera con i colori secchi del passato o con i colori ancora ignoti del futuro.
Vivere la giornata nelle sue ventiquattro ore rappresenta invece l’esserci e, per far questo, ogni giorno dovremo idealmente ricostruirci dal nulla e distruggerci alla fine della giornata stessa lì dove, spegnendo la luce, affidiamo al buio ed alla notte il compito di ricaricarci per il nuovo giorno che ci aspetta.
LA NOSTRA IDENTIFICAZIONE
Il tutto e il nulla del nostro presente
di Gerry Chirò
I misteri della vita non possono non suscitare, in noi, la domanda esistenziale per eccellenza: Ma io chi sono? Quante volte ce lo siamo chiesti o, inconsciamente, lo abbiamo pensato. E non siamo mai riusciti a darci una spiegazione umana soddisfacente.
Perché una risposta razionale al mistero della vita non può esistere. Perché l’uomo è il tutto e il nulla insieme e, nell’essere niente, è, comunque, anche il centro di un universo che gira intorno a lui.
Noi non siamo mai gli stessi di prima e non siamo ancora quelli del dopo ed in ogni istante distruggiamo noi stessi per ricostruirci. Siamo il nulla che si ricrea e, nel ricrearsi, si annulla nel medesimo istante.
Se ci domandiamo “io chi sono?”, probabilmente ci identifichiamo con l’immagine che, di noi, abbiamo ma noi non siamo definibili in un concetto statico temporale quanto, unicamente, nella ricostruzione che, istante dopo istante, caratterizza il nostro divenire.
Io non sono che il punto che delimita, adesso, in questo istante, il mio percorso umano. Meglio ancora: io sono il mio percorso. Io faccio parte del mio destino, dipendo dalla casualità degli eventi, sono parte integrante del processo naturale delle cose, sono lo strumento inconsapevole del disegno divino.
Ed in questa visione, che non è e non vuole essere una risposta al nostro interrogativo, dobbiamo allora collocare il percorso della nostra vita, nel quale la razionalità e la logica, se vogliono raggiungere il benessere, devono assecondare il processo naturale delle cose cedendo agli eventi per viverli naturalmente.
Cedere agli eventi significa, allora, anche comprendere la nostra inevitabile fragilità umana che può tramutarsi in forza, allorquando, assecondando il destino, la casualità, il mistero, ne veniamo a far parte integrante ed in tal modo viviamo e condividiamo, in modo naturale, il loro obiettivo.
Assecondare gli eventi non significa però subìre in modo passivo la realtà che ci circonda: significa invece vivere la realtà stessa ma senza forzarla per non essere, a nostra volta, bersaglio delle sue ritorsioni.
Volere, ad ogni costo, dominare gli eventi significa vivere una vita condizionata da tensioni emotive, da preoccupazioni, da ansie che, da un lato, non saranno in grado di risolvere i problemi del futuro e dall’altro ci impediranno di vivere serenamente il presente.
Vivere la vita significa, invece, ampliare il nostro presente, dilatare l’istante che, in questo momento, adesso proprio, coinvolge l’unico, irripetibile momento che ci viene donato dalla vita, e che, come tale, andrà, allora, vissuto nella sua pienezza: e forse, in questo modo, nell’interrogarci, potremo rispondere: “Io sono ciò che, adesso, sto vivendo”.
IL MIO PERCORSO DI NATUROPATA
di Gerry Chirò
Perché avvicinarsi alla naturopatia? Vi confesso che la mia esperienza, al riguardo, è stata ricca di coincidenze positive che oggi mi fanno dire che nulla è lasciato al caso e che se così è stato è perché così doveva essere.
Quando, diversi anni fa, un forte stress accumulato sul lavoro mi ha portato a cercare, negli ansiolitici, il rimedio più veloce per abbassare lo stato di tensione in cui mi dibattevo ho anche realizzato che quella soluzione era fine a se stessa e, se poteva curare momentaneamente il sintomo della malattia, non sarebbe certo servita ad eliminare la causa che alla malattia dava origine.
L’incontro ( fortuito?) con un bravissimo pranoterapeuta mi ha aperto un mondo nuovo, per me del tutto sconosciuto, un mondo di equilibri energetici, di chakra, di yin e yang, ma soprattutto mi ha fatto scoprire un panorama fatto di modi diversi di vivere la vita, riscoprendo il valore del presente e di ogni attimo da assaporare e gustare intensamente perché prezioso ed irripetibile.
E’ iniziata così, per me, una nuova avventura di vita. Mi sono appassionato, ho letto, ho approfondito ed il passo verso la “naturopatia” è stato conseguenziale, direi proprio “naturale” come in fondo ogni nostro passo, ogni nostro pensiero, ogni nostra azione dovrebbe essere.
Mi sono così iscritto alla scuola di naturopatia dell’Istituto Riza di medicina psicosomatica ed ho cominciato a conoscere il mondo dei preziosi rimedi che la natura mette a disposizione di tutti noi per favorire il nostro riequilibrio psicofisico. E’ stata una scoperta meravigliosa ed entusiasmante e la prima esperienza pratica che ho voluto provare è stata proprio sul mio rapporto con lo stress.
“Ansiolitico…addio”, che Riza Scienze ha pubblicato nel settembre 2002, racconta proprio questo mio percorso che, giorno dopo giorno, all’inizio faticosamente e poi sempre più serenamente ed agevolmente, mi ha consentito di ridurre gradualmente le dosi di ansiolitico, che da quasi un anno mi accompagnavano, fino ad eliminarle completamente.
E vi assicuro che il giorno in cui ho potuto fare a meno anche dell’ultima mezza compressa non potevo nascondere la mia felicità e soddisfazione….ero finalmente rinato!!
Dalla mia esperienza personale è evidente come il mio percorso naturopatico abbia rappresentato, innanzitutto, la soluzione “naturale” dei miei disagi psicosomatici ma il fascino del mondo nuovo in cui ero entrato è diventato anche la spinta, non solo a vivere personalmente “ secondo le leggi della natura”, ma ad esternare con gioia il mio entusiasmo convinto a quanti mi circondavano.
Oggi pratico i trattamenti naturopatici con passione e convinzione aiutando soprattutto amici e conoscenti a scoprire l’efficacia dei rimedi che madre natura mette a nostra disposizione.
Mi sono specializzato nei trattamenti che prevedono il contatto e la comunicazione tattile attraverso l’utilizzo delle mani ( ho conseguito, infatti, sempre presso l’Istituto Riza, il Master in Reflessologia Plantare, in Massaggio Cranio-Sacrale ed in Massaggio Ayurvedico ed in queste discipline sono anche Trainer Riza a Roma).
E tante volte mi sono chiesto se anche questo rappresentasse una coincidenza…significativa: in verità il mio cognome proviene dal Greco e significa proprio “mano”: Era un segno del destino? E allora mi ripeto: ogni cosa ha un suo perché e…nulla è lasciato al caso!!
Pubblicato su OLTRE- Rivista di Naturopatia - Anno 2009 numero 3
RIDERE E PIANGERE
Perchè le emozioni non vanno trattenute
di Gerry Chirò
Ridere e piangere: due reazioni comportamentali contrapposte ma profondamente naturali: una esternazione della nostra energia interna che ci consente di scaricare, al di fuori del nostro habitat psichico e corporeo, le nostre emozioni.
Ridere e piangere sono due reazioni naturali che, come tali, vanno assolutamente rivalutate nel panorama delle manifestazioni spontanee che possiamo adottare per vivere al meglio il mondo che ci circonda.
Il riso e il pianto, se non fossero stati, dalla natura, predisposti per servire a qualcosa, risulterebbero inutili ed ingiustificabili: il primo, assunto come tale, si rivelerebbe come un mero atteggiamento facciale collegato ad una accentuazione del respiro, del suono e della contrazione soprattutto addominale, il secondo un’espulsione di liquidi assolutamente inutile e fine a se stessa.
Esaminando più profondamente le due reazioni si coglie invece la ragione del loro essere: esse rappresentano uno sfogo necessario, una reazione spontanea e liberatoria ad una costrizione energetica.
Si comprende così come la nostra energia compressa abbia bisogno di esplodere all’esterno per ristabilire l’ equilibrio interiore.
Per molte funzioni naturali la compensazione, si sa, avviene con una forma di espulsione naturale e indipendente dalla nostra volontà: si pensi alla sudorazione, ai colpi di tosse, agli starnuti, alle eruttazioni, all’urinare e al defecare.
L’organismo reagisce ed espelle spontaneamente ciò che il nostro corpo non ha più bisogno di trattenere e quindi ha necessità di far fuoriuscire da esso.
Il riso e il pianto possono invece essere trattenuti. Cosa significa ciò: che la nostra forza di volontà può bloccare la loro esigenza esplosiva comprimendo la forza energetica che il ridere ed il piangere portano con sé.
L’energia viene repressa ma in tal modo non ci consente di attivare una reazione assolutamente spontanea che la natura ha immaginato a compensazione di una determinata situazione vissuta.
Da qui l’importanza di ripensare, in un processo comportamentale teso alla spontaneità ed alla naturalezza, anche la semplicità dei momenti di riso e di pianto come reazioni naturali benefiche.
Il ridere, di per sé, è indice e portatore di allegria, di buonumore e non ha bisogno di essere ulteriormente commentato per qualificare i suoi benefici a livello di miglioramento del benessere individuale. L’effetto terapeutico è scontato (anche se molto spesso dimenticato).
Ma anche il piangere ha il suo effetto positivo e liberatorio: esso, molto spesso, riesce a liberare le costrizioni, le oppressioni, i pesi psicologici e le lacrime sono il veicolo con il quale la natura ci fa, in qualche modo, sentire carezzati e coccolati.
E se questa rappresenta la reazione naturale e benefica ad un momento di dolore, di tristezza, di malinconia anche il pianto reattivo ad una ingiustizia, ad un sopruso, ad un dolore fisico è uno sblocco della nostra energia che altrimenti troverebbe il suo sfogo attraverso una implosione interna negativa e controproducente.
Ecco perché ridere e piangere fa bene.
Peccato che i nostri condizionamenti sociali non sempre ci consentono di ricorrere ad essi, con la naturalezza e con l’intensità che il riso (salutare) e il pianto (liberatorio) richiedono, per scaricare l’energia interna compressa.
Ma tutte le volte che è possibile farlo, facciamolo con spontaneità. Pensiamo ai bambini e a come la reazione immediata di un bambino di fronte ad un accadimento che lo coinvolge, molto spesso suscita, in lui, il riso o il pianto.
E allora, quando è possibile, torniamo anche noi bambini e godiamoci, ridendo e piangendo, quei momenti di tenerezza che solo un bel pianto o una bella risata possono donarci.
Pubblicato su OLTRE- Rivista di Naturopatia - Anno 2010 - numero 3
UN VIAGGIO NEL “MONDO MAGICO” DELL’IMMAGINARIO ATTRAVERSO
LE TECNICHE DI RILASSAMENTO
di Gerry Chirò
Durante i periodi di maggiore affaticamento da stress ovvero nelle situazioni e nei momenti, anche episodici, caratterizzati da tensioni emotive, stati di agitazione, stanchezza mentale, ecc. il consiglio che ci sentiamo sempre dare è quello di “provare a rilassarci”.
Il rilassamento viene infatti giustamente inteso come efficace modo di evasione dallo stress quotidiano, come distacco temporaneo dai nostri “obblighi e doveri”, come momento di distrazione dagli impegni di ogni giorno.
Ma, per rilassarci nel modo giusto, non basta solo chiudere gli occhi e… “ non pensare a niente” ma è necessario seguire delle tecniche ben precise volte a favorire sia la distensione fisica che quella psichica.
E, allora, vorrei invitarvi a provare un esercizio semplice ed efficace che sto sperimentando, con successo, prendendo a base una delle più conosciute tecniche di rilassamento quale il training autogeno integrato con la cromoterapia, la visualizzazione ed il massaggio antistress, il tutto in un unico trattamento la cui finalità principale sarà appunto quella di portare sia il corpo che la mente in una condizione di “totale abbandono”.
• L’esercizio, della durata di 20/25 minuti circa, andrebbe praticato possibilmente ogni giorno e svolto in un ambiente confortevole e silenzioso evitando rumori interni ed esterni e possibili fastidiose interruzioni ( telefoni, chiamate,ecc…). La posizione sarà supina, sdraiati su un tappetino posto in terra oppure sul letto, gambe distese e braccia lungo il corpo con il palmo delle mani rivolto verso il basso.
• La situazione così preparata dovrà, in sostanza, fornirci concretamente la sensazione della tranquillità che ci circonda e della serenità ………. in un piacevole e confortevole coinvolgimento ambientale.
E’ preferibile non accompagnare l’esercizio con musiche di sottofondo che, anche se a livello inconscio, potrebbero produrre stimoli e distrazioni non in linea con gli obiettivi dell’esercizio stesso.
• Il primo step è finalizzato a rilassare il corpo ed allentare le tensioni muscolari.
Concentratevi sulle braccia e sulle gambe e cercate di avvertire un senso di pesantezza che le avvolge. Sentirete la pesantezza raggiungere prima le braccia, poi le gambe, poi l’intero corpo che sprofonda -nel tappetino o nel letto- a cercare un sempre maggiore contatto con la Madre Terra e con le proprie origini energetiche.
Tutto il corpo diventa sempre più pesante dandoci la sensazione di un corpo morto, abbandonato a se stesso.
• La ricerca del calore costituirà la seconda parte dell’esercizio volta a sentire un senso di caldo profondo soprattutto a livello periferico (mani e piedi). Porteremo, con l’immaginazione ed il pensiero, il calore del sangue (visualizzando questo aspetto) fino alle punte (dita delle mani e dei piedi) estreme del nostro corpo. Avvertiremo profondamente il senso del calore che sarà, di per sé, fonte di piacevole rilassamento e benessere.
• Nella fase successiva cercheremo di concentrarci sul ritmo del nostro cuore e del nostro respiro. Realizzeremo tutto ciò visualizzando, preliminarmente, un ambiente naturale (un prato, un parco, un bosco…….. di colore verde intenso) nel quale sentiremo il nostro cuore battere con cadenza regolare e ritmica. Ci concentreremo sul senso di tranquillità e di serenità che il ritmo naturale del cuore ci infonde.
Passeremo poi al respiro. Anche in questo caso sentiremo il nostro respiro calmo e regolare e lo visualizzeremo nel suo ciclo armonico continuo.
Vedremo il nostro respiro che, dalla bocca scende ai polmoni e poi giù fino all’ombelico per risalire e riprendere, regolarmente e lentamente, il suo tragitto circolare. Un cerchio che si riproduce nel nostro corpo e che, con la sua visione, ci infonde serenità e tranquillità.
Sul ritmo del battito cardiaco e del respiro ci fermeremo quel tanto che sarà necessario a portarci ad uno stato di rilassamento consapevole e di godimento naturale delle sensazioni che avvertiremo.
Il colore verde intenso ci accompagnerà durante tutta questa fase.
• Procederemo ora ad un esercizio rafforzativo del rilassamento raggiunto fino a questo momento.
Con l’immaginazione visualizzeremo un cerchio posto, come un’aureola, alla sommità del capo, cingendolo, e che, lentamente, scenderà dalla fronte agli occhi, al naso, alla bocca, al collo. E man mano che l’anello scenderà lungo tutto il corpo (cingendo le spalle, il torace, l’addome………) la parte sovrastante risulterà libera, quasi svuotata, dandoci un senso di leggerezza in contrasto con la parte sottostante (non ancora raggiunta dal cerchio) per la quale continueremo ad avvertire un senso di pesantezza.
Il cerchio scenderà lentamente, molto lentamente, lungo tutto il nostro corpo e, alla fine, scivolerà dai piedi lasciandoci la sensazione di una profonda leggerezza psico-fisica in tutto il corpo.
• A questo punto visualizzeremo un raggio di sole, nitido e lineare (immaginiamo, ad esempio, un raggio laser) di un colore giallo dorato molto intenso e lo faremo entrare all’altezza del nostro ombelico.
Il raggio giallo dorato, all’interno del nostro corpo, si propagherà e si espanderà lungo tutta la fascia addominale e, con un forte senso di calore, riscalderà intensamente tutta la parte.
Caldo e giallo intenso: la sensazione sarà quella di un impastamento dei nostri intestini con il calore ed il colore fino a quando sentiremo tutta la fascia addominale riempita di caldo e di giallo.
• Concentreremo ora il nostro pensiero sulla fronte. Anche qui visualizzeremo un colore: un azzurro profondo come il colore dell’oceano, accompagnato da un senso di fresco, di brezza marina che entreranno nella parte frontale e la riempiranno.
La nostra mente sarà fresca ed immersa nell’azzurro profondo per circa un minuto e in questa fase sentiremo la mente libera da pensieri e preoccupazioni.
• Giunti a questo punto il nostro rilassamento sarà profondo e totale.
Conteremo, allora, lentamente, fino a cinque e man mano che ci avvicineremo al 5, ci sentiremo via via allontanare dal nostro corpo, staccarci dalla terra ed elevarci verso l’alto.
Ci lasceremo cullare nello spazio, nell’aria, nel cielo e, al cinque, cercheremo di visualizzare un posto virtuale (un prato, una spiaggia esotica, un lago, una cima di una montagna, ecc.) nel quale ci sentiremo immersi in un totale distacco dalla realtà.
E’ in questa fase che realizzeremo il massimo beneficio del rilassamento (psico-fisico) attraverso la completa astrazione del nostro pensiero dai problemi che ci circondano.
Resteremo in questa fase per due -tre minuti circa.
• Dopo il godimento fornitoci dal nostro posto virtuale, lentamente torneremo al risveglio, contando da 1 a 5 e, gradualmente, cominceremo a muovere dapprima le mani, le braccia, poi i piedi e le gambe, prendendo quindi consapevolezza di tutto il nostro corpo, iniziando, successivamente, a respirare profondamente e, al 5, aprendo gli occhi e restando trenta secondi, un minuto a godere del nostro risveglio.
• Prima di alzarci (dal letto o dal tappetino) procederemo, per circa un minuto, ad un massaggio circolare, lento e leggermente in profondità, della zona circostante il nostro ombelico, soffermandoci, ogni tanto, a palpare i quadranti nei quali avremo, idealmente, suddiviso la zona da massaggiare.
Ritmo circolare lento e leggermente profondo che ci farà sentire con mano il grado di rilassamento fisico raggiunto dal nostro addome.
• Dopo l’ombelico andremo a massaggiare, anche qui per circa un minuto, con il dito medio, la fossetta (percepibile perfettamente) posta, al centro della fronte, un centimetro circa sopra l’arcata sopraccigliare.
Il massaggio all’ombelico e alla fronte, punti specifici della tecnica del massaggio anti-stress, vanno a consolidare, in uno stato cosciente, il rilassamento psico-fisico raggiunto nel corso dell’intero esercizio.
A questo punto dovreste aver raggiunto il risultato desiderato: uno stato di profonda tranquillità e serenità del quale usufruire per il resto della giornata. Dopo di che non posso che augurarvi di godere intensamente e più a lungo possibile del rilassamento raggiunto!
Provate e…fatemi sapere!
( PS. E se ,le prime volte, vi capiterà di addormentarvi prima di aver portato a termine l’esercizio, non preoccupatevi…è assolutamente normale che possa accadere…e in ogni caso sarà comunque benefico…!)
Pubblicato su OLTRE- Rivista di Naturopatia - Anno 2011 - numero 2
IN UNA FRAZIONE DI SECONDO
(www.edizioniilmolo.it)
UN ROMANZO CON UNA VISUALE…NATUROPATICA
di Gerry Chirò
“ In una frazione di secondo”. Quante cose, quanti avvenimenti possono accadere in una frazione di secondo. Un attimo nel quale la nostra vita può cambiare completamente, nel bene e nel male.
In una frazione di secondo un pirata della strada può distruggere la tua vita, in un’altra frazione di secondo la dea bendata può regalarti il numero magico che ti fa vincere al SuperEnalotto.
Sono frazioni di tempo uniche ed irripetibili come è irripetibile ogni attimo della nostra vita, diverso da quello precedente che ormai fa parte del passato e da quello futuro che non si è ancora realizzato.
Ecco allora l’importanza del momento che noi viviamo nel presente, con la consapevolezza dell’esserci solo ed unicamente in quell’istante.
L’importanza di vivere il presente come unica certezza del nostro percorso di vita lì dove ancorarsi al passato rischia di alimentare sensazioni di malinconia, di nostalgie, di rimpianti ( fino a cadere nella depressione) mentre pensare e vivere unicamente in funzione di quello che ci aspetta nel prossimo futuro può provocare uno stato di preoccupazione anticipata che può facilmente sfociare in uno stato di ansia ed angoscia il più delle volte ingiustificato e prematuro.
Il presente resta allora l’unica certezza: il punto fermo ed irripetibile nella linea che costituisce il nostro percorso di vita: un punto focalizzante della nostra esistenza la quale si realizza sempre e soltanto per punti continui che vivono e muoiono nel momento stesso in cui si manifestano.
Nel libro “ In una frazione di secondo” vengono enfatizzati proprio questi concetti riservando all’elemento “spazio” ed al fattore “tempo” la parte principale del romanzo perché, come è riportato nella presentazione del libro che si può leggere sul sito internet della casa editrice (www.edizioniilmolo.it),“alle loro regole i protagonisti della storia dovranno inevitabilmente sottostare.
Lo spazio e il tempo costituiscono, infatti, per ognuno di noi, il palcoscenico su cui rappresentiamo il nostro percorso di vita e dove anche un frammento minuscolo di un oggetto e una frazione di secondo che, a prima vista, possono apparire insignificanti, giocano invece un ruolo determinante per il nostro destino.
E quando essi si trasformano in imprevisti è solo la fatalità dell’istante che può rimettere in ordine le cose…o distruggerle definitivamente”.
Il romanzo “ In una frazione di secondo” è la prima opera di narrativa di Gerry Chirò e, ancora prima di essere pubblicata, ha ottenuto, nel mese di ottobre 2009, la “Menzione d’onore” al Concorso Nazionale Letterario “La Clessidra” sezione Narrativa Inedita.
Pubblicato su OLTRE- Rivista di Naturopatia - Anno 2010- numero 1
UN VIAGGIO NEL MONDO DELLA "PASSIONE", TRA PROVERBI, AFORISMI E CANZONI
di Gerry Chirò
Ci sono parole, nel nostro linguaggio, che si presentano con significati diversi, talvolta addirittura contrastanti. Per pura coincidenza (“o forse no…” come direbbero i miei colleghi naturopati) proprio nell’ultimo numero di “Oltre” (pag.22) mi sono occupato di una di queste parole e più precisamente della “Distrazione” mettendo in luce i significati contrapposti che detto termine presenta.
Questa volta vorrei soffermarmi su un’altra “parola” intrigante nel suo significato e che genera sempre un po’ di curiosità e, spero, possa “appassionare” chi mi legge: la “passione”, appunto, sia che essa si presenti con la lettera maiuscola che minuscola.
Diciamo subito che, istintivamente, il termine “passione” ci porta, con immediatezza, al campo delle emozioni e dei sentimenti ed il pensare alla passione, in qualche modo, ci entusiasma e carica la nostra energia positiva . La passione è una spinta che ti dà una forza enorme, intensa, che ti permette di raggiungere obiettivi insperati. Se c’è la passione si può conquistare ogni meta…. Il grande filosofo tedesco George Fiedrich Hegel (1770-1831) sintetizza splendidamente questo concetto “ niente di grande è stato fatto al mondo senza il contributo della passione”
Ma non è sempre così perché la passione, intesa come forza emozionale e sentimento prorompente, nella terminologia corrente, come vedremo, assume significati contrastanti, talvolta addirittura negativi e si sistema in una scala di valori emozionali diversi.
Iniziamo allora la nostra analisi col dire che, nel lessico italiano, il termine “passione” ha ben quattro significati tutti di carattere e sfondo “emotivo” diversi.
Partiamo dal gradino più basso: la passione come espressione di un “forte interesse” verso qualcosa. In altre parole una inclinazione “vivace” degna di ammirazione e non riprovevole Quanti di noi sono attratti in modo particolare, ad esempio, dalla musica, da uno sport o da altro dedicando a questo “interesse/passione” gran parte del proprio tempo libero e facendone, di esso, un hobby importante.
In questo step il coinvolgimento è presente ma è rispettoso della razionalità e la persona sa ben discernere i confini tra eccesso e moderazione. E’ per così dire , una “passione minore” da non confondere, come vedremo, con le passioni cui faceva riferimento il drammaturgo tedesco Wolfgang Goethe (1749-1832) quando diceva che “ le passioni sono difetti o virtù solamente se portate all’estremo”.
Saliamo un altro gradino e incontriamo un secondo aspetto della passione allorquando essa si manifesta come un “forte coinvolgimento emotivo” verso qualcuno o qualcosa: si prova un amore “viscerale” per la propria donna, per la propria squadra di calcio, ecc. ecc.. Le regole della ragione si affievoliscono e prevale l’istinto, il sentimento, l’emozione pura che si pongono in qualche modo in contrasto con le esigenze della razionalità e dell’obiettività. Questo momento lo descrive bene lo scrittore e filosofo spagnolo Baltasar Gracian (1601-1658) “ la passione tinge dei propri colori tutto ciò che tocca”. e la scrittrice inglese Iris Murdoch ( 1919-1999) meglio completa il concetto “ la passione trova in se stessa le proprie giustificazioni”.
Nella scala dei valori emozionali il terzo gradino, forse il più usato e conosciuto ma anche il più amato e temuto, è quello in cui il termine “passione” fa riferimento ad un “sentimento molto, molto forte e, soprattutto, incontrollabile”. A questo si riferisce sicuramente lo scrittore francese Guy de Maupassant ( 1850-1893) quando dice che “ la passione non ha legge”. L’amore per la propria donna diventa incontenibile, la passione per il gioco diventa vizio e, come noi stessi usiamo dire: quella persona non sa “controllare” la propria passione.
E quando una persona non riesce a controllare le proprie passioni vuol dire che la passione stessa ha preso il sopravvento ed è in grado di superare e travolgere le leggi della ragione. Il proverbio recita al riguardo “ La passione acceca”
Ma è il quarto gradino, quello più alto, che merita un approfondimento particolare. In questo stadio la passione assume un significato del tutto diverso che appare ( ma forse non lo è) in contraddizione con quelli precedenti che abbiamo finora esaminato. E’ la passione, che io chiamo con la “ P maiuscola”, intesa come pena, come dolore, addirittura come sofferenza fisica e qui il riferimento va , naturalmente, alla Passione di Gesù ed alle sofferenze che Egli “patì” dall’ultima Cena alla Crocifissione.
Questo “diverso” significato in realtà non è poi per nulla strano se sol si pensi che il termine “passione” proviene dal latino passio che, a sua volta, deriva dal verbo pati che significa , appunto, patire, soffrire, sopportare. Il termine “patologia” del resto è chiaramente indicativo al riguardo.
In verità, nella lingua latina la parola “passio” indicava solo il turbamento dell’anima ma il significato di patimento e sofferenza anche fisici proviene dalla traduzione dal greco nel quale con il termine pathos si indicava di tutto: dolore e patimento, amore e piacere, sofferenza e godimento. E la traduzione dal greco dei Vangeli riferisce il termine pathos espressamente al martirio di Gesù.
E, ancora oggi, al di là dell’accostamento alla sofferenza fisica di Cristo, resta la passione intesa come “sofferenza morale” cioè come presenza di un’emozione così forte da lacerare il cuore e dominare l’anima. Del resto la passione, in ogni caso, è sempre portatrice di gioia e sofferenza insieme. Se non fosse così non si chiamerebbe passione, sarebbe altro.
Nella tradizione della Canzone napoletana la “passione” si identifica molto spesso con questo gradino di intensità:“E’ na passione, cchiù forte ‘e na catena, ca mme turmenta ll’anema… e nun mme fa campà!”
Nella persona pervasa dal vortice della passione coesistono infatti alti e bassi: anche quando l’obiettivo della passione è raggiunto è naturale che sia sempre presente la “paura della perdita”. Il rischio allora è che la sofferenza si trasformi in gelosia, in odio, atteggiamenti anch’essi “passionali” che offuscano la mente e possono scatenare azioni di incontrollata violenza. E, visto che la passione contiene in sé sempre il seme del dolore, a noi il compito di non alimentarlo
A quali conclusioni ci porta, a questo punto, la disamina sui vari aspetti che può presentare la passione? Sicuramente, della passione, fanno paura l’ incontrollabilità e la sofferenza perché, come abbiamo detto, portano in loro il germe della negatività: l’amore passionale che si tramuta in violenza, la passione per il gioco che si trasforma in vizio radicato o addirittura in “dipendenza”, l’odio e la gelosia che possono indurre chi li prova ad azioni incontrollate, senza ritorno. Non a caso il proverbio ci ricorda che “la passione è una bestia feroce”.
Ma quando l’incontrollabilità e la sofferenza si indeboliscono la passione può riprendere il suo aspetto positivo e il fare qualcosa per passione si identifica allora nella gioia di fare una cosa con piacevolezza, spontaneità, soddisfazione ed entusiasmo.
In sostanza la passione deve essere sempre accompagnata da un pizzico di “ragionevolezza” che dovrà costituire la guida accorta e nascosta nell’evitare soprattutto l’incontrollabilità. Lo sottolinea, in qualche modo, il poeta e filosofo libanese Kahlil Gibran (1883-1931) quando dice che “ragione e passione sono timone e vela della nostra anima navigante”. Solo in tal modo la passione diventerà un compagno di viaggio, entusiasmante e coinvolgente, della ragione viaggiando, in simbiosi, con essa…
E anche le cose di tutti i giorni prenderanno allora un altro colore: anche il mare ti sembrerà più azzurro, il firmamento ti emozionerà ancora di più e tutte le azioni che porterai avanti con passione ti sembreranno più vere, più belle…più tue.
Nel terminare questo viaggio nel mondo della passione spero davvero che la lettura sia stata per voi interessante e piacevole. Per quanto mi riguarda posso dirvi che ho scritto questo articolo con passione e, se non l’avessi fatto, Samuel Johnson, poeta e saggista britannico (1709-1784) mi avrebbe sicuramente rimproverato ricordandomi che “ciò che è stato scritto senza passione….verrà letto senza piacere”.
Appendice: Alla luce di tutti questi significati sorge spontanea e provocatoria una domanda: la parola “naturo-patia” indica la “sofferenza” della natura agli insulti quotidiani del genere umano o la “passione” per tutto quello che è “naturale”? Quello che tutti noi speriamo, per un mondo migliore, è che l’interpretazione sia sempre e soltanto quella di questo secondo aspetto.
Pubblicato su OLTRE- Rivista di Naturopatia - Anno 2011- numero 3
UNA SEDUTA DI RIFLESSOLOGIA PLANTARE...
di Gerry Chirò
Una seduta di riflessologia plantare non è, come molti sono portati a pensare, soltanto un trattamento “manuale” sul piede, finalizzato, attraverso una corretta stimolazione dei punti riflessi, a ristabilire il benessere di una persona.
Certo, l’obiettivo primario è quello di favorire, attraverso pressioni mirate, la ripresa energetica degli organi che si trovano in una fase di squilibrio funzionale ma una seduta di riflessologia plantare, per noi naturopati, è e deve essere, soprattutto, il momento di una “comunicazione tattile” tra la mano dell’operatore ed il piede di chi riceve il trattamento.
Grazie ai preziosi e insostituibili insegnamenti del mio maestro di riflessologia plantare Luigi il Drago e con l’esperienza di tanti anni maturata “sul campo” mi sono reso conto che, in una seduta di riflessologia plantare, non basta semplicemente “ toccare, premere, lisciare, stirare, lombricare, torcere, impastare…”: occorre superare la fisicità manuale del gesto ed operare ad un livello relazionale più profondo, un contatto che trasmetta impulsi, un contatto che sia intuizione ed ascolto, una presa di coscienza del messaggio che il piede trattato sta trasmettendo: una “comunicazione tattile” che diventa essenziale perché immediata ed autentica e che sostituisce e supera il linguaggio verbale troppe volte vuoto ed ingannevole.
Ecco, allora, che inizia a comprendersi l’importanza dell’intervento del naturopata-riflessologo in questa “comunicazione tattile” dove la sensibilità, la preparazione e l’esperienza dell’ “operatore del benessere” è in grado di meglio comprendere i messaggi del piede ( rectius: del corpo) e le sue richieste di aiuto.
Per questi motivi, nelle mie sedute di riflessologia plantare, suddivido il trattamento in tre fasi temporali distinte e destinate a impreziosire il rapporto tra chi tratta e chi riceve ed a fornire un pacchetto personalizzato di contatti che andrà oltre il toccare fisico.
Sarà allora un trattamento speciale “con…tatto”, dettato da tocchi e manipolazioni ispirati dall’accortezza, dal rispetto, dalla sensibilità e, soprattutto, dall’attenzione per il nostro cliente ( che, nel nostro campo, proprio per quanto detto, preferisco chiamare “assistito”) ed, in tal modo il contatto effettuato con “tatto” prima di essere solo un trattamento sarà una comunicazione relazionale coinvolgente e profonda destinata a dare sollievo, instaurando un rapporto energetico che penetrerà dolcemente nel piede e quindi in tutto il corpo del nostro assistito e scioglierà le tensioni e i blocchi energetici fisici e psichici.
E, allora, esploriamo insieme, queste fasi:
PRIMA FASE: Conoscenza/ Accoglienza
La seduta iniziale di un trattamento di riflessologia plantare dovrà necessariamente favorire la conoscenza di quelli che saranno, indiscutibilmente, i due protagonisti della seduta stessa: la mano dell’operatore ed il piede dell’assistito. I due non si sono mai visti e si incontrano per la prima volta: il buon esito della seduta sarà collegato anche alla fiducia che il piede è disposto a riporre nella mano che lo tratterà.
Il piede e la mano devono conoscersi, piacersi, accettarsi, fidarsi e, conseguentemente, rilassarsi.
La conoscenza tra i due sarà allora favorita da una fase manuale dolce ma profonda, morbida ma, nello stesso tempo, stimolante. Il tutto attraverso una “comunicazione tattile” tale da accendere subito, nel toccante e nel toccato, sensazioni positive e coinvolgenti che trascendono la fisicità del tocco.
La “ fase della conoscenza”, nelle sedute successive, sarà sostituita dalla “fase dell’accoglienza” dove il piede e la mano, rincontrandosi, si comunicheranno reciprocamente, come due vecchi amici, il piacere del ritrovarsi insieme.
In altre parole, la mano dell’operatore trasmetterà al piede dell’assistito una sincera sensazione di accoglienza e sicurezza che conforterà e rassicurerà chi riceverà il trattamento.
“Contatto, carezze, coccole…”: dolci e morbide attenzioni che rispondono ad un unico obiettivo: uno scambio relazionale di fiducia indirizzato a migliorare e rilassare, per tutta la seduta, lo stato psicofisico dell’assistito.
SECONDA FASE: Tecnica operativa
Terminata la prima fase ( conoscenza/accoglienza), che durerà almeno 10/15 minuti, siamo finalmente pronti per affrontare, nel modo migliore possibile, la ben nota fase operativa e centrale della seduta: il piede del nostro assistito sarà rilassato, morbido e maggiormente disponibile a ricevere le pressioni mirate sui punti riflessi, spesso e inevitabilmente un po’ fastidiose e talvolta dolorose.
Anche in questa fase il piede sa che, nonostante tutto, potrà fidarsi della mano “amica” dell’operatore e, con maggiore consapevolezza e rilassamento, collaborerà con lei per facilitare il raggiungimento dell’obiettivo: la corretta stimolazione delle zone riflesse da parte di chi esegue il trattamento per il tempo necessario allo scopo.
TERZA FASE: Rilassamento
Sarà la parte sicuramente più gradita dal nostro assistito. Dopo le necessarie pressioni, non sempre accettate con…piacere spontaneo da chi riceve il trattamento, la fase finale – che durerà almeno altri 10 minuti- coinciderà con il ringraziamento ed il saluto reciproco tra la mano ed il piede.
I due amici sono stati insieme, hanno apprezzato piacevolmente la fase dell’accoglienza, hanno anche sofferto insieme nella fase della tecnica operativa ( anche l’operatore, credetemi, soffre intimamente quando l’assistito mostra dolore in alcune pressioni particolari… ma proprio il dolore è il segnale preciso dell’individuazione del giusto punto da trattare) ed ora sono di nuovo contenti di stare bene insieme, di vivere e godere finalmente un momento di profondo rilassamento, di toccarsi con la consapevolezza del meritato piacere, di trasmettersi reciprocamente le proprie sensazioni.
Il piede del nostro assistito ha bisogno di essere di nuovo coccolato, accarezzato, in qualche modo viziato di…piacere tattile.
Ed il Naturopata sa come trasmettergli questa emozione.
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